La riunione prende avvio alle ore 15.45 con la presentazione da parte del presidente Marco Bolzonella del relatore, il dott. Matteo Melchiorre (Dottore di ricerca in “Storia sociale europea dal Medioevo all’età contemporanea” presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia) che illustra la sua recente pubblicazione: Raccontare di sé e del proprio tempo nel tardo Medioevo: Clemente Miari e il suo Chronicon bellunese (1383-1412). Il volume, conservato nella Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova, fu dato alle stampe nel 1873 da parte di un esponente della famiglia Miari, Damiano, tradotto dall’originale latino e fu ristampato più volte nel corso del Novecento. L’autore, sacerdote e canonico della cattedrale di Belluno, era nato tra il 1354 e il 1364; di lui si conoscono poche notizie relativamente agli studi e alla giovinezza, certamente l’impostazione che si rivela nel Chronicon evidenzia una struttura mentale sicuramente arricchita da interessi giuridici anche se probabilmente egli non conseguì mai la laurea in quel campo. Nel 1382 lo troviamo tra i canonici della cattedrale come massaro, forse grazie ai buoni auspici del duca Leopoldo d’Asburgo, con il quale la famiglia Miari condivideva le simpatie ghibelline. Visse tutta la sua vita nel Bellunese, anche se cercò spesso, ma inutilmente, di diventare canonico della Cattedrale di Padova nella prospettiva del conseguimento delle pingui prebende che gli sarebbero derivate da quell’incarico. La famiglia, che possedeva un feudo vescovile fin dalla metà del Trecento, viveva raccolta nell’intero suo nucleo in un’area topografica ben delimitata all’interno della città di Belluno. Il fratello Giovanni e la sorella Tersilia si unirono a famiglie legate all’ambiente del notabilato bellunese: il primo sposò la figlia di un notaio di origini bellunesi residente a Venezia; la seconda un esponente della famiglia Doglioni, pure di simpatie ghibelline.
Il racconto del Chronicon rappresenta in tutti i suoi aspetti un quadro vivace e descrittivo della vita del tempo, quando Belluno si presentava divisa in quattro consorterie, due guelfe e due ghibelline che determinarono un clima di contrasto sovente assai bellicoso. Con un orizzonte ristretto quasi esclusivamente alla sua città, Clemente iniziò a scrivere nel 1388 partendo però dal 1383. Descrisse quanto accadeva intorno a sé nella vita quotidiana, allargando di tanto in tanto il racconto al contado, alle zone del bacino del Piave, al Friuli, a Padova, Venezia, Milano e Pavia, ma con un interesse, si può dire, quasi scarso e distaccato per il mondo più lontano. Più dettagliate appaiono le notizie di cronaca relative alla vita ecclesiastica e devozionale della sua città e a quelle della sua famiglia, senza però evidenziare alcun interesse per la genealogia della stirpe né per se stesso. Nel quadro proposto emergono anche gli eventi naturali che vengono presentati con lo stesso interesse che l’autore sente per i grandi accadimenti.
Secondo il relatore, il termine più esatto per definire questo testo è quello di “diario”, dato che per le sue caratteristiche è difficile inserirlo nel genere dei “libri di famiglia” e in quello della “cronaca” vera e propria anche se dal punto di vista stilistico può ricordare la Cronaca dei Gatari e quelle di Daniele da Chinazzo e di Conforto da Custoza. Il titolo Chronicon fu dato al testo solo in epoca tarda, nel corso del Settecento, dall’abate Gennari.
Alle 17.30 prende avvio l’assemblea ordinaria annuale con la relazione morale del Presidente Marco Bolzonella che passa in rassegna l’attività svolta nel corso dell’anno 2017 a partire dall’assemblea di gennaio. Egli rivolge un particolare ringraziamento alla comunità monastica di Santa Giustina per l’ospitalità generosamente offerta e a tutti i soci che hanno collaborato alla buona riuscita delle iniziative svolte.
Segue da parte del tesoriere Giannino Carraro l’illustrazione del bilancio consuntivo 2017 e del bilancio preventivo 2018 che vengono approvati dai presenti con la sola astensione del tesoriere stesso.
È infine ammessa come nuova socia la dottoressa Catia Magni, modernista, allieva della prof.ssa Liliana Billanovich, formatasi scientificamente nell’Ateneo padovano.
Alle ore 17.50 l’assemblea viene dichiarata chiusa.
Data la ristrettezza dei tempi a disposizione, segue una rapida presentazione delle novità bibliografiche, mentre si rimanda ad altra data una più estesa e approfondita rassegna.
Padova, 28 marzo 2018
Piera Ferraro Arvalli –Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
La riunione prende l’avvio con l’intervento del Presidente M. Bolzonella che ricorda il buon esito del corso annuale intitolato “Sulle vie della cristianità. Pellegrinaggi dal Medioevo ai giorni nostri” che ha registrato un cospicuo numero di presenti. Segue la consueta rassegna delle novità bibliografiche, in particolare a cura di Bolzonella e Giannino Carraro.
La presentazione da parte del Presidente del relatore, don Stefano Dal Santo, Direttore dell’Archivio Storico Diocesano e della Biblioteca Capitolare di Padova, docente di Storia della Chiesa alla Facoltà Teologica e Segretario dell’Istituto per la storia ecclesiastica padovana, apre l’illustrazione della sua recente opera in due volumi Il clero nella diocesi di Padova attraverso le visite pastorali post-tridentine (1563-1595), Padova, Istituto per la storia ecclesiastica padovana, 2016.
L’autore ha voluto analizzare il periodo, ancora poco sondato, tra il governo della Diocesi di Padova da parte dei vescovi Barozzi e Barbarigo. La riforma del clero, ordinata dal Concilio di Trento, mirava ad un rinnovamento del corpo dei fedeli; per questo l’ottica dell’autore intende prendere prima di tutto in esame la situazione del clero quale traspare dalle visite pastorali durante i vescovadi di Vielmi, Ormanetto, Federico Corner e Alvise Corner.
L’opera si fonda sull’esame di fondi conservati presso l’archivio Storico Diocesano, in particolare Visitationes, Diversorum, Inventariorum, Visite. Atti diversi, Lectorum civilium, Sinodi, Parrocchie di Padova, Registri canonici e ha l’obiettivo di arrivare non tanto alla descrizione oggettiva della situazione, quanto alla presentazione di quanto appariva agli occhi del visitatore. Incrociando informazioni derivanti da fonti diverse, si arriva a definire una realtà che presentava, prima del Concilio di Trento, una presenza del clero esogeno pari al solo 36%, con la nomina da parte del vescovo che coinvolgeva solo il 30% del clero e con una massiccia assenza dei parroci (pari al 70%) che delegavano i propri compiti ad altri religiosi dietro compenso.
Dopo il Concilio la situazione cambiò in maniera radicale: l’assenza dei preti curati si riduce al 3%, le ispezioni da parte dei vicari divengono inaspettate e più frequenti, mentre venivano contestualmente instaurate anche nuove norme per l’allontanamento; tutto questo spinse i parroci ad assumere il compito loro assegnato in maniera più responsabile. Contemporaneamente, l’evidente necessità di una più profonda preparazione del clero che ponesse rimedio alla diffusa ignoranza portò all’obbligo di una dotazione minima di volumi di biblioteca, anche se non si può sapere quanto quest’ordine venisse in effetti rispettato. Vitale fu la nascita del nuovo Seminario nel 1569 (tra i primi in Italia), seppur con scarsa presenza di chierici in un primo tempo e in mancanza dell’obbligo di frequenza da parte dei religiosi in cammino. Usualmente la preparazione avveniva attraverso un apprendistato presso i parroci.
Il ruolo dei vicari foranei fu determinante: l’Ormanetto iniziò questa prassi prima di partire per Madrid nel 1572, instaurando una consuetudine che era nata nella diocesi di Verona. Giberti, sempre a Verona, inventò il confessionale che Ormanetto portò a Padova e a Milano, così come volle il tabernacolo al centro della chiesa. Per quanto riguarda nel dettaglio le visite, l’impressione è che i parroci conoscessero bene la situazione del gregge loro affidato, mentre per quanto concerne i fedeli, spesso regnava l’omertà sulla vita non del tutto irreprensibile del loro pastore, omertà che si rompeva solo quando il loro comportamento passava oltremodo il segno ed essi si rendevano conto che solo una denuncia poteva portare a un sensibile miglioramento della situazione che arrecasse quanto loro spettava.
Nel complesso rimangono piuttosto oscure le modalità delle sanzioni da parte dei visitatori che appaiono consci delle obiettive difficoltà di trovare un religioso con peculiarità diverse e maggiormente preparato, coscienti dell’inadeguatezza del vaglio avvenuto a monte, al momento dell’assegnazione del religioso come curatore di anime.
Il dibattito interessato e vario che ne è seguito resta a testimonianza dell’interesse suscitato dalla relazione.
Padova, 7 maggio 2018
Piera Ferraro Arvalli – Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
La riunione prende avvio con la consueta rassegna di novità bibliografiche, in particolare a cura di Bolzonella, Giannino Carraro, Saggin, Trolese.
Segue da parte del Presidente M. Bolzonella la presentazione del relatore il prof. Saverio Xeres, presbitero della Diocesi di Como, professore ordinario di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale e docente della medesima materia nel Seminario vescovile di Como, che apre l’illustrazione dell’opera in quattro volumi da lui curata, assieme a Umberto Dell’Orto, dal titolo: Continuità e discontinuità di una tradizione storiografica. A proposito del nuovo manuale di Storia della Chiesa, edito dalla casa editrice Morcelliana.
Il relatore, all’inizio della sua lezione, propone una panoramica sulla storia della manualistica di Storia della Chiesa affondando le radici del suo discorso subito dopo il Concilio di Trento. Il prof. Xeres propone poi alcune sue considerazioni sul distinguo che deve essere fatto tra Storia della Chiesa e Storia del Cristianesimo, soluzione questa che fu adottata sin dall’inizio dal Modernismo. Il nuovo concetto di “manuale” deve tenere conto, pur nella sintesi, dei nuovi orientamenti e delle nuove metodologie e per questo egli ricorda alcune peculiarità dei manuali di Storia della Chiesa del Novecento che tengono conto delle nuove aperture geografiche, ecumeniche e culturali, le stesse che sono alla base dei saggi degli autori dei quattro volumi della nuova opera che provengono in gran parte dalla Scuola Teologica di Milano. La validità di un manuale sta proprio nella visione generale che rende concreta l’idea dell’evoluzione globale e serve da orientamento anche per studi di storia locale, i quali possono risultare inseriti o come evoluzione o come anticipazione di fatti avvenuti o che avverranno. D’altra parte la prospettiva teologica è insita nella Chiesa stessa che non esiste al di fuori della storia.
Segue un’accesa e animata discussione da parte dei presenti incentrata in larga parte sulla sorte degli insegnamenti di Storia della Chiesa nelle odierne Università italiane (da segnalare in merito l’intervento puntuale e molto interessante del socio G. Romanato) e sull’importanza dello studio approfondito della materia in questione per una maggiore comprensione non solo della storia della cultura in generale, ma anche per analizzare con consapevolezza critica i problemi connessi alle vicende politiche e sociali del mondo d’oggi.
Come già comunicato con la email spedita il 19/05/2018 alle ore 12:11, a seguito di problemi tecnici che sono intervenuti con il nostro precedente gestore di poste elettronica, cioè libero.it, si è deciso di cambiare provider e, a partire da tale data, l’indirizzo ufficiale di posta elettronica della Societas Veneta per la storia religiosa è diventato:
Non cambia invece, almeno per il momento, l’indirizzo del nostro sito web.
La seconda importante novità riguarda l’ottempeanza alla nuova normativa europea sulla privacy identificata dall’acronimo GDPR (General Data Protection Regulation), entrata in vigore lo scorso 25 maggio.
Anche la Societas è interessata al rispetto della nuova normativa. Come prima misura in data 27/05/2018 alle 19:18 abbiamo inviato una email a tutti coloro (soci e simpatizzanti) che vengono raggiunti con tale mezzo.
Il contenuto dell’email era il seguente:
“Come certo Le è noto, a partire da venerdì 25 maggio 2018, è entrato in vigore il nuovo Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati (GDPR). Anche la ‘Societas Veneta per la storia religiosa’ ha aggiornato la propria politica sulla privacy per riflettere le modifiche a seguito dell’entrata in vigore del GDPR.
La Societas veneta per la storia religiosa detiene il Suo indirizzo di posta elettronica e lo conserva in modo sicuro, utilizzandolo esclusivamente per informarLa delle nostre attività o di altre iniziative culturali che riteniamo possano essere di Suo interesse.
Nel caso in cui Lei desiderasse essere cancellato/a dal nostro database riservato alle newsletter, La invitiamo a comunicarcelo all’indirizzo email scrivente, cioè: societasveneta@gmail.com.
Nei prossimi giorni creeremo una pagina ad hoc sul nostro sito e ve ne comunicheremo il link come modalità alternativa alla cancellazione da questa mailing list, opzione che sarà presente anche in calce ad ogni nostra futura comunicazione.
Contestualmente verrà preparata una pagina in cui saranno spiegate le modalità con cui, come associazione, ci atteniamo alla legge suddetta.
Per ulteriori informazioni può scriverci all’indirizzo di posta elettronica: societasveneta@gmail.com.
Nei prossimi giorni, in dipendenza degli impegni di chi materialmente cura il sito, verrà opportunamente aggiornato il nostro sito web.”
Padova, 30 maggio 2018
Piera Ferraro Arvalli – Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
La riunione prende avvio con la rassegna bibliografica di recenti pubblicazioni di storia della Chiesa, storia medioevale, storia contemporanea da parte dei soci Bolzonella, Giannino Carraro, Gallo.
Oggetto dell’incontro è la presentazione del volume di Antonio Rigon, Gente d’armi e uomini di chiesa. I Carraresi tra Stato Pontificio e Regno di Napoli (XIV-XV sec.), Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 2017, pubblicato tra l’altro con il parziale contributo della Societas veneta per la storia religiosa. Il libro è stato oggetto già di diverse presentazioni a Padova e Ascoli Piceno. Entro l’estate analoghi eventi si terranno a Teramo e Pescara. L’autore si sofferma, all’inizio della sua lezione, sulle reazioni riscontrate nel pubblico, sia specialista della materia sia nei comuni lettori e sulle tematiche, in generale, trattate nel libro spendendo qualche parola in più su un filone approfondito in più parti della sua pubblicazione: quello della storia militare, oggi abbastanza ben battuto soprattutto dagli storici del medioevo (si pensi alle svariate pubblicazioni, giusto per fare un nome, di Alessandro Barbero). Rigon analizza in rapida sintesi le vicende di Conte, Ardizzone e Stefano da Carrara, calandoli nel contesto generale della storia d’Italia (dal Friuli alla Campania) a cavallo fra XIV e XV secolo e ponendo all’attenzione il ruolo sociale avuto dai figli nati fuori dal vincolo matrimoniale (quali furono Conte e Stefano da Carrara) nel tardo medioevo italiano (tematica, tra l’altro, non molto approfondita di recente dai medioevisti). Seguono considerazioni generali sulla genesi del libro che prese avvio nel lontano 1995, in seguito alla lettura di un volume su Ascoli Piceno in cui Rigon scoprì il ruolo avuto dai Carraresi nel capoluogo marchigiano, nonché sulla sua non semplice realizzazione a causa delle poche fonti disponibili (gli stessi professori Kohl e Sambin, per questo motivo, ne sconsigliarono la realizzazione). L’autore, quindi, passa a una minuta analisi della figura di Conte da Carrara, figlio naturale di Francesco I detto Il Vecchio e di Giustina Maconia, importante uomo d’arme nell’Italia della seconda metà del Trecento (fu ripetutamente al soldo dei pontefici romani), divenuto, a tutti gli effetti, signore di Ascoli Piceno durante il primo decennio del Quattrocento. Le ultime annotazioni sono dedicate allo stretto rapporto intessuto nel tempo con il consanguineo Stefano da Carrara (figlio naturale a sua volta di Francesco II da Carrara, detto Il Giovane) e con i figli di Conte, Ardizzone e Obizzo. Quest’ultimo successe al padre quale vicario generale di Ascoli Piceno sino al 1426 quando l’esercito pontificio si impadronì della città marchigiana.
Seguono numerose domande da parte del pubblico e un articolato dibattito che ha prolungato la lezione ben oltre il consueto orario di chiusura dei lavori, a testimonianza dell’interesse suscitato da questa tematica che lega la famiglia da Carrara ad altri contesti geografici non meramente veneti.
Alla fine dell’incontro il Presidente saluta e augura a tutti, anche da parte del Direttivo della Societas Veneta per la storia religiosa, una riposante e proficua pausa estiva.
La giornata si conclude con una riunione conviviale fra soci, amici e simpatizzanti nel vicino ristorante Zàiro alla quale hanno partecipato una ventina di persone.
Padova, 29 settembre 2018
Piera Ferraro Arvalli – Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
La riunione prende avvio con la consueta rassegna bibliografica relativa a recenti pubblicazioni di storia della Chiesa, storia medioevale, moderna e contemporanea da parte dei soci Bolzonella, De Vitt, Giannino Carraro e Romanato.
Il nostro socio e già presidente della Societas veneta per la storia religiosa Gianpaolo Romanato presenta i volumi: “Inutile strage”. I cattolici e la Santa Sede nella Prima guerra mondiale. Raccolta di studi in occasione del centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale (1914-2018), a cura di L. Botrugno, Libreria Editrice Vaticana, Atti e documenti, 44, Città del Vaticano 2016 e Benedetto XV. Papa Giacomo Della Chiesa nel mondo dell’“Inutile strage”, a cura di G. Cavagnini e G. Grossi, 2 voll., Il Mulino, Bologna 2017. I volumi sono frutto di due convegni del tutto indipendenti l’uno dall’altro, cui hanno partecipato più di cento relatori di provenienza europea ed extra-europea che hanno fornito un quadro finalmente completo e non viziato da pregiudizi di parte degli eventi bellici e delle tensioni drammatiche cui fu sottoposta la Santa Sede. Entrambi gli incontri hanno preso le mosse dalla celebre espressione “inutile strage” con cui Benedetto XV condannò la guerra al termine della Lettera ai capi dei popoli belligeranti del 1° agosto 1917. Espressione che sintetizzava la politica dell’imparzialità fra le parti in lotta adottata dal papa all’indomani dell’elezione e non politica di neutralità, come sottolineato giustamente dal cardinale Pietro Parolin nell’introduzione al convegno romano.
Dato l’alto numero di contributi presenti nei tre volumi, il relatore chiarisce che si limiterà a presentare le nuove linee interpretative emerse e le conclusioni. La Santa Sede, all’inizio della Prima guerra mondiale si trovava isolata dal punto di vista diplomatico, mentre la “questione romana” era tuttora aperta. I rapporti diplomatici del Vaticano si limitavano a pochi stati e, tra questi, non vi erano, ad esempio, né gli Stati Uniti, né la Russia. La posizione della Santa Sede era palesemente sbilanciata verso le Potenze Centrali, le uniche, fra i paesi in guerra, con cui conservava relazioni diplomatiche all’inizio del conflitto. Anche l’Italia manteneva nei confronti del Vaticano un atteggiamento di controllo vigile, tanto che ne pretese l’esclusione dalla futura conferenza di pace (cfr. art. 15 del patto di Londra).
Il papa precedente, Pio X, era morto allo scoppio della guerra e il suo pontificato si era contraddistinto per uno scarso interesse verso la politica estera, mentre si era dimostrato molto sensibile nei confronti dei problemi interni della Chiesa, quali il modernismo. Al conclave che seguì la morte di Pio X e che vide l’elezione di Benedetto XV partecipò un numero tutto sommato esiguo di cardinali, appartenenti comunque a tutti ai paesi contendenti; in particolare i nord-americani arrivarono in ritardo e non vi poterono partecipare.
Il nuovo papa fu scelto essenzialmente perché aveva una grande esperienza politica e diplomatica. Benedetto XV come segretario di stato volle in prima battuta il cardinale Ferrata che però venne a mancare solo dopo un mese di pontificato. Venne sostituito dal cardinale Gasparri, uomo forte e libero da condizionamenti e legami con le potenze contendenti.
Benedetto XV da parte sua scelse la via dell’assoluta imparzialità, convinto che qualsiasi sbilanciamento a favore degli uni avrebbe provocato una rottura nei confronti degli altri, lasciando una scia di rancori e risentimenti. Questi comunque non mancarono e si acuirono in particolare in occasione dell’invasione del cattolico Belgio da parte della Germania talché la leggenda di un papa inaffidabile e “filotedesco” condizionò a lungo la percezione internazionale della Santa Sede. Saranno Gran Bretagna e Olanda che inviarono in Vaticano un proprio rappresentante diplomatico alla fine del 1914 a cogliere per prime l’importanza rappresentata dalla sede apostolica quale osservatorio estraneo alla mischia con il quale era necessario avere un rapporto diretto. Dall’altro lato, all’opposto, sia la Germania, sia l’Austria-Ungheria trasferirono le loro ambasciate in Svizzera (si ricordi anche, a questo proposito, come gli Stati Uniti aprirono la loro ambasciata in Vaticano soltanto nel 1980).
Lacerante fu per il pontefice il problema dei rapporti con i vescovi e i cattolici del continente: tutti, con poche eccezioni, schierati su posizioni di lealismo patriottico o di aperto nazionalismo bellicistico. Anche in Italia, dove pure il controllo vaticano sui vescovi fu più stretto, lo scivolamento cattolico verso il nazionalismo che era cominciato con la guerra di Libia, fu massiccio. Il coinvolgimento dei cappellani militari che avevano il compito di legittimare il conflitto sostenendo moralmente la truppa, fu talmente elevato che l’autorità ecclesiastica, dopo la fine delle ostilità, impose agli ordinari verifiche e controlli severi prima di riammetterli. Deve essere comunque sottolineato l’impegno umanitario profuso durante il conflitto dalla Santa Sede che utilizzò la Svizzera neutrale per il ricovero di un cospicuo numero di persone ferite e bisognose.
Il relatore conclude la sua vasta e complessa relazione ricordando come solo l’imparzialità, che pur impose dolorosi silenzi, consentì al papa di non essere trascinato nel gorgo infernale delle passioni contrapposte. Alla luce degli eventi degli anni successivi, la definizione della guerra come una “inutile strage” appare profetica, come lo fu l’altra affermazione di Benedetto XV: “Questa guerra sarà il suicidio dell’Europa intera”. Ciò si dimostrò assolutamente vero dato che l’Europa, da allora, perse il suo ruolo centrale negli equilibri mondiali.
Al termine della sapiente presentazione segue un articolato dibattito sollecitato dalle numerose domande da parte del pubblico al relatore su un tema che ha suscitato grande interesse tra i presenti.
Padova, 4 novembre 2018
Piera Ferraro Arvalli – Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
L’incontro prende avvio con la consueta rassegna bibliografica relativa a nuove pubblicazioni di storia medioevale, storia moderna, storia della Chiesa presentate in particolare da Bolzonella e Trolese.
Prende poi per primo la parola don Giorgio Fedalto curatore, assieme a Renato D’Antiga, della pubblicazione: Venezia quasi un’altra Bisanzio, Marcianum Press, Venezia 2018, che viene oggi presentata anche alla presenza degli studiosi autori di alcuni dei saggi presenti nel volume, pubblicato con il contributo dell’Istituto Ellenico di Studi bizantini e post-bizantini di Venezia. Il relatore evidenzia come Venezia sia nata bizantina: dal VI al IX secolo essa fu ducato dipendente dalla capitale orientale. Solo a partire dal IX secolo divenne dogado indipendente, ma conservò forme di architettura, arte, cultura, devozione e cerimoniali legati alla città di Bisanzio. Non a caso la città lagunare fu scelta, già dal XIV secolo, da molti esuli che si allontanavano dai territori bizantini a causa della pressione turco-ottomana. Il volume (il cui titolo rievoca la celebre definizione che ne diede il cardinale Bessarione) vuole ricordare, attraverso riflessioni diverse, alcuni aspetti e peculiarità di una lunga storia di rapporti e analogie fra le due civiltà.
Prende poi la parola il secondo curatore, Renato D’Antiga, specialista di agiografia e studi bizantini e autore anche di un saggio all’interno del volume: I culti dei Santi nell’antica Venetia. Il Kalendarium Venetum XI saeculi. Il testo è collocabile cronologicamente, con ogni probabilità, al 1065 e venne pubblicato a Roma nel 1773 da Stefano Borgia. Lo studioso si sofferma in particolare sui culti dei santi diffusi nel territorio veneziano, sulla loro origine e diffusione, sulla datazione delle loro feste, fossero essi di origine orientale, occidentale, esarcale, africana, germanica o provenienti dai territori franco-germanici.
Pietro Chiaranza, autore del saggio Liturgia greco-alessandrina di San Marco, ricorda come la scelta del culto a san Marco abbia rappresentato per Venezia l’acquisizione di una nuova e più forte dignità. Ma non fu l’unico santo di origine egiziana venerato nella Serenissima Repubblica, legata all’Egitto anche dalla venerazione di altri santi della medesima provenienza, come sant’Antonio Abate, santa Caterina d’Alessandria, sant’Onofrio, san Giovanni Elemosiniere, figure che la città lagunare sentiva come proprie.
Maria Elisabetta Bottecchia Dehò, autrice del saggio Girolamo, spunti dall’epistolario. «De amicitia». Magnum solamen si amici litteras vel indignantis accipiam (ep. VIII), ricorda come san Girolamo, uomo dalla perenne ricerca, affronti sovente nelle sua lettere l’angosciante problema della sofferenza, lettere dalle quali emerge anche forte il senso consolatorio dell’amicizia. Anche per lui Costantinopoli rappresentò la meta quando decise di abbandonare il deserto di Calcide.
Leo Citelli, autore del saggio Interpretazioni analitiche, rielaborazioni ornate e cromatismo nella musica bizantina: considerazioni in margine a un troparion del monaco Longino, evidenzia come il suo contributo tocchi aspetti sostanzialmente tecnici; per questo il suo intervento si limita solo a considerazioni essenziali sulla musica bizantina. Essa rimase nei secoli solo vocale, senza accompagnamento di strumenti differentemente da quella latina; era inoltre riservata ai soli cantori ed escludeva quindi l’assemblea avendo un significato teologico e accompagnando il fedele nell’abbandono e in un percorso di pura meditazione personale.
L’intervento finale è riservato a Georgios Plumidis, Direttore dell’Istituto Ellenico di Studi bizantini e post-bizantini di Venezia. Il relatore ricorda la lunga e fruttuosa tradizione di rapporti con studiosi greci e orientali che ha caratterizzato il centro che conserva, attorno a una comunità molto fervida e unita, la ricchezza di un archivio ove sono raccolti documenti a partire dalla metà del XV secolo nonché un museo di particolare preziosità e unicità.
Tra gli interventi che seguono, si segnala quello dell’Abate Emerito don Francesco Trolese: egli ricorda i numerosi monaci ortodossi ospitati dalla comunità di Santa Giustina negli scorsi secoli, ringrazia i relatori e rivolge un particolare saluto al vescovo emerito di Treviso mons. Paolo Magnani presente all’incontro.
Al termine, il Presidente, Marco Bolzonella, ringrazia l’Abate don Francesco, il cui impegno ha consentito la realizzazione dell’incontro.
Padova, 10 dicembre 2018
Piera Ferraro Arvalli – Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
La riunione prende avvio con la consueta rassegna bibliografica relativa a recenti pubblicazioni di storia della Chiesa medievale, moderna e contemporanea da parte dei soci Bolzonella e Giannino Carraro.
Oggetto dell’incontro odierno è la relazione della dottoressa Maria Teresa Brolis dal titolo: Profili di donne da fonti notarili dei secoli XIII-XIV. Prendendo spunto dal suo recente volume, Storie di donne nel Medioevo, con introduzione di Franco Cardini (Il Mulino, Bologna 2017), vincitore del Premio Italia Medievale 2018 e tradotto in lingua inglese per i tipi di McGill-Queen’s University (con introduzione di Gilles Constable) la relatrice traccia i profili biografici e culturali di alcune donne “sconosciute” vissute nella città di Bergamo nei secoli XIII e XIV, ampliando poi il discorso ad alcune problematiche sociali e culturali relative alla storia delle donne medievali. A partire dalle trascrizioni delle fonti notarili della confraternita di Santa Maria della Misericordia di Bergamo e in particolare dei testamenti delle donne ivi iscritte – cui la Brolis ha dedicato, in collaborazione con Attilio Bartoli Langeli e altri studiosi, diverse edizioni – l’attenzione della studiosa si sofferma sulla storia delle persone, dei sentimenti e delle loro volontà: l’obiettivo della sua ricerca è infatti quello di cogliere, pur all’interno di una fonte mediata come è il testamento medievale, le “voci delle donne” ovvero quelle inusuali disposizioni che si discostano dal rigido formulario notarile. Tra gli esempi accennati si distingue in particolare il lascito fatto ai poveri da Flora, usuraia pentita, di un piatto caldo di ceci, ma cotti – ed ecco il tocco femminile – in una pentola di pietra ollare.
Il suggestivo racconto della studiosa si sofferma poi sui profili di alcune donne imprenditrici nubili – quindi non protette dai mariti o dal velo monastico – che commerciano stoffe in lino o lana tra le trafficate valli bergamasche e continua con quello di una povera ragazza, Agnesina, domestica in una ricca famiglia cittadina, che riceve la dote dalla confraternita della Misericordia (più nota come MIA) per sposare il suo amato Paciolo, servo in un altro potente casato. Altra donna in stretti rapporti con la confraternita è Belisegna, la quale ha un figlioletto sofferente del “male della pietra”: fu infatti la MIA a pagare il conto del medico che si prese carico della sua cura. Le vicissitudini di Agnesina e Belisegna offrono alla studiosa lo spunto per segnalare da una parte la numerosa presenza femminile (in particolare di donne nubili) all’interno delle liste di poveri iscritti alla MIA nonché l’opera di assistenza offerta da quest’ultima relativamente al cibo e alle doti; dall’altra per delineare ceto, origini (cittadine o rurali) e ruolo delle donne iscritte alla stessa confraternita.
L’ultima parte dell’incontro è dedicata a due donne molto diverse tra loro per origini e posizione sociale, entrambe accomunate dalla notevole capacità d’azione all’interno della società medievale. La prima è Bettina, originaria e attiva in una piccola località della val Seriana, la cui occupazione principale è assemblare intrugli e pozioni per risolvere il problema della sterilità femminile. La sua fama di guaritrice è tale da arrivare anche all’Inquisizione che istruisce un processo per indagare sulla sua attività dal quale, fortunatamente, esce assolta. Tuttavia Bettina è nota anche al di là delle valli bergamasche: ad un certo Giovanni da Brescia, muto da ormai qualche mese, la donna infatti prepara un bel pollo da mettere in testa e una disgustosa pozione da bere! La seconda, Ottebona, è una donna che ricorda con dolci parole d’amore il marito lontano, esiliato da Bergamo. La storia di questa donna apre quindi uno spiraglio importante e ancora poco praticato dagli storici del medioevo, ovvero la possibilità di intravedere una “storia dei sentimenti e delle emozioni” che, pur nella distanza dei contesti storici, accomuna gli uomini del passato con quelli del presente.
Al termine della presentazione seguono un vivace dibattito sui temi presentati dalla relatrice e un interessante confronto con la documentazione e le ricerche degli studiosi presenti.
Padova, 11 gennaio 2019
Piera Ferraro Arvalli – Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
La Societas Veneta per la storia religiosa si propone di diffondere passione e interesse per gli studi inerenti la storia ecclesiastica, alla quale si richiamava la denominazione iniziale dell’Associazione. Inoltre vuole sensibilizzare ad uno studio della storia intesa come rigore critico, ricerca delle fonti e dei documenti, scrupolo interpretativo fondato su un corretto metodo filologico e non sul dilettantismo.
Associazione che si interessa di storia religiosa e che vuole sensibilizzare ad uno studio della storia più in generale da approcciare con rigore critico basato sulla ricerca delle fonti e dei documenti.
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