Alle 15.45 di sabato 23 gennaio 2021 viene dichiarata aperta, in seconda convocazione, l’Assemblea ordinaria annuale della “Societas Veneta per la storia religiosa”, riunita in via telematica a causa delle restrizioni dovute alla pandemia. L’assemblea si apre con la relazione del Presidente, Marco Bolzonella che ricorda l’attività svolta nell’anno 2020 (incontri, primi due appuntamenti del corso annuale, autunno paleografico) proseguita nonostante le limitazioni dovute al COVID. Esse hanno avuto una presenza di pubblico considerevole, così come la pagina Facebook e il canale YouTube della Societas hanno riscosso un notevole successo. Il Presidente ringrazia poi la comunità di Santa Giustina per la generosa ospitalità e i soci che si sono prodigati per la realizzazione dei programmi dell’associazione. Prende poi la parola il tesoriere, Emanuele Fontana che presenta il bilancio consuntivo che è approvato all’unanimità, e il bilancio preventivo, approvato pure all’unanimità. L’assemblea si chiude con l’ammissione dei nuovi soci: Barbacci Elisabetta, Bon Luciano, Ghedini Giacomo, Petrella Francesca e con il conferimento della qualifica di socio onorario al p. abate del monastero di S. Giustina Don Giulio Pagnoni, già da molti anni nostro socio ordinario e al nostro commercialista dott. Angelo Agostinis.
La giornata procede con la presentazione della Casa Museo Giacomo Matteotti e del suo sito web dal parte della dottoressa Lodovica Mutterle. Situato a Fratta Polesine, il Museo, oltre alla casa comprende il granaio e il giardino monumentale. Istituito nel 2004 e dato in gestione al comune di Fratta Polesine, è aperto al pubblico dal 2012 nel fine settimana, divenendo, nel 2017, monumento nazionale (in quest’anno è stata inoltre stipulata una convenzione con il dipartimento Dissgea dell’Università di Padova). Il sito è arricchito da un ricco apparato di immagini relative al percorso museale, ma anche da molti strumenti utili per i ricercatori interessati alla figura e alla vicenda di G. Matteotti, tra i quali: le carte del processo, i discorsi parlamentari, gli scritti politici, alcune opere poetiche e letterarie della moglie. Altro materiale digitalizzato a disposizione del pubblico, riguarda l’inchiesta sulla miseria in Italia, una ricca emeroteca, una raccolta di immagini. Il Museo inoltre è promotore di una ricca attività culturale, con incontri, presentazioni, convegni come quello realizzato nel 2019 a cent’anni dalla riforma elettorale proporzionale.
Gli atti di quell’incontro, pubblicati nel primo numero dei quaderni di Casa Matteotti 1919-2019. Riforme elettorali e rivolgimenti politici in Italia, sono stati quindi presentati dal prof. Gianpaolo Romanato. La domanda di partenza ha riguardato l’importanza della riforma nella rivoluzione del Parlamento e nell’affermazione del fascismo. Chiarite le modalità di voto con il sistema maggioritario, limiti di rappresentatività da esso espressi e il bacino elettorale ristretto, fattori tutti che avevano contribuito a favorire il voto maggioritario, sono state spiegate le tappe che hanno portato alla decisione di introdurre il proporzionale. Dapprima si ebbe la riforma voluta da Giolitti che introduceva il suffragio universale maschile, impiegato per la prima volta nel 1913. Nonostante la vittoria andasse ai liberali, una piccola parte di deputati cattolici entrò in Parlamento. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1919 don Sturzo fondò il partito Popolare italiano che premette assieme ai socialisti per introdurre la riforma elettorale, con l’intento di riportare un maggiore equilibrio rappresentativo in Parlamento. Nella primavera del 1919 cadde il governo Orlando che fu sostituito con Nitti. Spettò a quest’ultimo varare la riforma che entrò in vigore nel novembre dello stesso anno. Le nuove elezioni portarono a un rovesciamento del Parlamento poiché socialisti e popolari ottennero anche se di poco la maggioranza sul partito liberale; tuttavia una volta al governo i due partiti non trovarono un accordo; al contrario mantennero un atteggiamento pregiudizievole l’uno nei confronti dell’altro. L’accordo fu fatto invece tra liberali e popolari, con un ritorno al governo di Giolitti. La crisi causata dalla guerra portò l’Italia al collasso sino alla vittoria del fascismo. Scopo del convegno è stato quello di capire quanto determinante sia stata la riforma nella salita al potere del fascismo. Secondo i risultati della ricerca, l’apporto non fu decisivo anche se, indebolendo il sistema politico, esso contribuì alla sua vittoria.
Padova, 12 febbraio 2021
Silvia Carraro –Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
L’incontro con Grado Giovanni Merlo si è aperto con una domanda relativa alla genesi e ai risultati del manuale Medioevo scritto a due mani con Giovanni Tabacco. Assistente dagli anni Settanta di Giovanni Tabacco – il quale aveva riunito intorno a sé un compatto gruppo di allievi – egli ebbe l’incarico dal suo maestro di scrivere il primo manuale di storia medievale dedicato agli studenti universitari. Tuttavia dagli anni Novanta, i cambiamenti interni all’Università – fino ad allora incentrata nei seminari di grandi maestri e di allievi che comunicavano le loro ricerche – resero il manuale non più un sussidio allo studio, ma un oggetto di studio e, come tale, il suo linguaggio risultò troppo complesso per gli studenti, nonostante le aperture che esso offriva.
È seguita una seconda domanda relativa al principio dei suoi studi sugli eretici e ai rapporti tra eretici medievali e quei filoni della modernistica che si occupano del tema. Nel 1974 si tenne un convegno dedicato a Valdo e, su proposta di Manselli, gli fu chiesto di parlare della presenza dei Valdesi in Piemonte: da qui si sviluppò il tema. Sei anni dopo, fu invece invitato a parlare di Francesco e dei movimenti religiosi del suo tempo, iniziando, ancora una volta casualmente, il secondo tema che lo ha accompagnato durante tutta la carriera. In relazione ai rapporti con l’eresia in epoca moderna, in quest’ultima il punto di partenza è la Riforma di Lutero; le due epoche (medievale e moderna) non hanno avuto un dialogo fruttuoso, non esistono, così come non esistono con gli antichisti, ricerche comuni, non c’è stata insomma una continuità di dialogo. Sostiene inoltre Grado Merlo che per il medioevo per capire l’eresia è necessario riflettere lungamente sul Papato; una particolare attenzione va inoltre posta al linguaggio utilizzato.
Una terza domanda ha riguardato i rapporti con il professor Franco Dal Pino. Se il carattere aperto di quest’ultimo lo ha reso un riferimento per molti intellettuali e politici di varie epoche, dal punto di vista accademico fu il primo a tenere, a Catanzaro, l’insegnamento di Storia del cristianesimo e dei movimenti ereticali. Arrivato a Padova, divenne subito un riferimento importante per la medievistica. Con lui, e intorno a lui, si radunò un gruppo di medievisti – tra i quali Giuseppina De Sandre, Antonio Rigon e Grado Merlo – che si ritrovava a Cesena per discutere su temi e progetti comuni: fu proprio da queste riunioni che nacquero la rivista “Quaderni di Storia religiosa” e il dottorato di Storia religiosa medievale di cui Dal Pino divenne il direttore. Fu questo tra i periodi più proficui della ricerca, forse un unicum.
È seguita una domanda che ha riguardato l’origine dei suoi studi su Francesco e il loro impatto nella storiografia. Esiste una divergenza concettuale e pratica tra l’esperienza di Francesco e quella minoritica successiva, quella che Cracco chiamò “minoritismo”, pur non intuendone quella programmaticità, colta invece nel caso Veneto da Antonio Rigon. Dalle tensioni religiose del Duecento è partito l’interesse di Grado Merlo su Francesco, grazie anche agli stimoli di Giovanni Miccoli e Roberto Rusconi. Negli anni Novanta si assunse anche l’impegno di presiedere la “Società internazionale di Studi francescani”, in un periodo in cui c’era la necessità di intrecciare le ricerche con quelle degli attuali francescani, con l’obiettivo, perseguito invero nei vari filoni di ricerca da lui intrapresi, di discutere su una visione monolitica del passato.
Un’ulteriore domanda ha riguardato il metodo di ricerca. La novità degli studi storico religiosi fu l’utilizzo delle fonti notarili, prima poco considerate per questi argomenti. Punto di partenza in questo senso è stato il libro di Antonio Rigon su San Giacomo di Monselice nel quale emergono diacronie e molteplicità di argomenti tematici. Vanno considerate la natura del documento e la sua trasmissione, nonché la sua struttura che permette di arrivare alla coscienza del sistema; è necessario avvicinarsi al documento in modo articolato perché esistono aspetti che il documento non esplicita, ma lascia intuire.
Gli spunti forniti dal dialogo hanno quindi stimolato altre questioni relative all’uso o meno della parola “eretico” visto che sono le fonti stesse a utilizzarla; sotto questo aspetto la risposta ha sottolineato la necessità di essere più precisi, tenendo ben distinto che è la Chiesa ad attribuire quell’identità.
Un’altra questione ha riguardato i rapporti con la storia delle donne e la storia di genere che è stata trattata dal professore in alcuni suoi articoli e in particolare nel volume Uomini e donne di comunità che ha aperto i Quaderni di storia religiosa.
Padova, 11 marzo 2021
Silvia Carraro – Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
La riunione si è aperta con la presentazione del volume Magnificenza monastica a gloria di Dio. L’abbazia di Santa Giustina nel suo secolare cammino storico e artistico, a cura di Giovanna Baldassin Molli e Francesco Giovanni Battista Trolese, Viella, Roma 2021, da parte del prof. Donato Gallo e della prof.ssa Giovanna Baldissin Molli.
I due studiosi hanno diviso l’incontro in due parti, dedicando la prima alla prospettiva storica (Donato Gallo) e la seconda a quella storico-artistica (Giovanna Baldassin Molli). È stato, tuttavia, ribadito che tale divisione è solo in apparenza ovvia, visto l’intreccio tra i due ambiti. In particolare, Donato Gallo ha evidenziato che, con i suoi 43 saggi, le due introduzioni e la ricca bibliografia, il volume non solo fa il punto della situazione sul tema del monachesimo benedettino in relazione all’abbazia, ma pure pone le basi per nuove letture (come nel caso del saggio di Liliana Billanovich dedicato al ritorno dei monaci a Santa Giustina e alla mediazione del vescovo Luigi Pellizzo) e per avviare un maggiore dialogo con altre discipline come l’archeologia. Spiegato il contesto culturale e cultuale da cui è scaturito il libro e fatto il punto della precedente produzione storico-monastica su Santa Giustina, in particolare a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, Donato Gallo ha illustrato l’apporto dei singoli contributi alla storia agiografica, religiosa, politica ed economica di Santa Giustina nel medioevo e in epoca moderna. Un ulteriore passo avanti è costituito anche dai saggi relativi al ruolo dell’abbazia come centro culturale non solo locale, in rapporto alle biblioteche, alla spezieria (con l’elenco di piante dell’orto botanico del monastero) e alla cultura filosofica elaborata nell’ambito monastico di Santa Giustina, ma anche a stretto contatto con gli insegnamenti dell’Università patavina e alla cerchia letteraria.
In un’altra parte del suo intervento, Donato Gallo ha analizzato i saggi dedicati alla dimensione musicale – in particolare a quella per organi e a Oderisio Maria Gubinelli, monaco e compositore – e alla liturgia (comprese le vicende dell’istituto di liturgia pastorale) che rappresentano l’ultima sezione del volume per quanto riguarda l’ambito storico. Qualche suggerimento relativo a nuove linee di ricerca – come per esempio, alla religione civica in età moderna, alle questioni musicali e alle informazioni presenti nei diari di viaggio – è stato proposto nella parte finale dell’intervento.
La presentazione di Giovanna Baldissin Molli si è aperta con un sentito ricordo di Doretta Davanzo Poli e del suo saggio sulle testimonianze tessili conservate a Santa Giustina. Fondante nella sezione dedicata alla parte artistica, ma che rappresenta un file rouge di tutto il volume, è stata la celebrazione della liturgia, ovvero esplorare ciò che le arti visive e performative (musica e libri in primis) hanno prodotto per Santa Giustina, comprese le decorazioni e le miniature. All’interno di quel dialogo di contenuti già citato all’inizio, un altro elemento di omogeneità del volume è rappresentato dall’apparato fotografico realizzato in collaborazione con l’Università che evidenzia anche lo scambio continuo con la città stessa. La storia del complesso architettonico, composto da tre basiliche, è affidata a tre saggi, che coniugano diverse discipline, mentre agli spazi liturgici (cori, tramezzi, compresa la sacrestia) sono dedicati altri quattro saggi. Come ovvio, alcuni interventi hanno cercato di fare il punto della situazione, altri hanno tentato nuove prospettive come i contributi dedicati alle oreficerie, ai reliquiari e ai paliotti d’altare. Esemplare è inoltre il saggio sugli arredamenti barocchi di Santa Giustina poiché gli autori individuano non solo le mani degli scultori ma anche il lavoro complessivo di montaggio degli altari e delle decorazioni; per tale ragione, questo saggio va letto in parallelo con i due successivi incentrati sulla pittura del Seicento e del Settecento. L’individuazione di un gruppo omogeneo di dipinti che dalla galleria abbaziale furono portati nel costituendo Museo Civico di Padova, è protagonista di un altro saggio; tra di essi sono da segnalare una serie di dipinti di fattura raffinata e colta su pietra nera, un genere ritenuto affatto minoritario. Altri episodi artistici di livello primario sono al centro dell’ultima parte del volume.
Al termine delle due relazioni è seguito un animato dibattito.
Padova, 31 maggio 2021
Silvia Carraro –Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
Fra i lebbrosi, in una città medievale. Verona, secoli XII-XIII.
Intervista a Maria Clara Rossi, Marianna Cipriani e Roberto Alloro, curatrici e curatori dell’omonimo volume di Giuseppina De Sandre, Viella 2021.
La riunione si è aperta con le presentazioni delle novità editoriali e dei progetti in corso da parte dei soci: G. Pagnoni, F. De Vitt, S. Ceccon, G. Carraro, M. Bolzonella, D. Gallo e S. Carraro.
La ricca rassegna bibliografica presentata è qui sotto riportata:
Padova, 5 ottobre 2021
Silvia Carraro – Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
Oggetto della riunione è stata la relazione della professoressa Liviana Gazzetta sul suo libro Virgo et sacerdos. Idee di sacerdozio femminile tra Ottocento e Novecento, pubblicato presso Edizioni di Storia e Letteratura (2020) nella collana “Donne Fedi Culture” diretta da Liviana Gazzetta e Alessia Lirosi. La lezione è stata preceduta da una breve introduzione della professoressa Alessia Lirosi relativa alla collana, alla sua origine e ideazione, ai suoi obiettivi sino alla discussione sul titolo.
È seguita poi la lezione della professoressa Gazzetta che ha esordito ricordando come, quando e da chi è nata l’idea della ricerca sull’ordine delle figlie del Cuore di Gesù e sulle richieste di sacerdozio delle donne, nonché sulle difficoltà dell’indagine che non si è potuta svolgere presso l’archivio dell’ordine. La domanda di sacerdozio femminile, inteso come aspirazione devozionale e non come rivendicazione, nasce infatti ben prima del concilio Vaticano II e affonda le sue radici nel culto mariano della Virgo Sacerdos sviluppatosi dalla seconda metà dell’Ottocento. Le figlie del Cuore di Gesù nacquero per iniziativa della beata Marie Deluil-Martiny e del suo padre spirituale (Silvain Giraud) nel 1872 in seguito a un pellegrinaggio al santuario di La Salette. Scopo era quello di sostenere il clero, ritenuto inadeguato al suo compito, riparandone i peccati, in un momento di difficoltà e pericolo della Chiesa. Il primo convento nacque ad Anversa e fu ‘sopportato’ dal clero belga. Lo stesso Pio X accolse nel 1906 la richiesta avanzata dalle religiose di poter usare l’appellativo di “Vierge Prêtre” – espressione usata dai Padri della Chiesa – nei riti del proprio istituto e qualche anno dopo nelle litanie mariane. Nei quarant’anni successivi alla fondazione, l’ordine crebbe e tra Belgio e Francia crebbero atti e pubblicazioni a sostegno della legittimità del culto della Virgo Sacerdos.
Nel 1912, prese tuttavia avvio un’indagine del Sant’Uffizio, portata avanti in tre riprese: nel 1913, fu vietata l’immagine della Vergine rappresentata come Sacerdos (ma non fu vietato il titolo) e nel 1927 fu imposto il silenzio sul suo culto. Gli atti del processo fanno intuire che esso fosse ritenuto pericoloso soprattutto per gli ordini femminili che avrebbero potuto appropriarsi del titolo di “sacerdotesse” come lo era stata Maria.
Eppure, il titolo non era stato condannato poiché era stato utilizzato anche precedenza, oltre che dai Padri della Chiesa, anche da teologi medievali, come Alberto Magno. In epoca moderna, si sviluppò l’idea che il sacerdozio mariano fosse sostegno per il clero e, in questi termini, si diffuse in molte esperienze anche femminili tra Otto e Novecento: le carte analizzate dall’autrice fanno chiaramente intuire come queste idee circolassero ampiamente. L’atteggiamento del Sant’Uffizio fu tuttavia di disprezzo per queste donne che si interessavano del sacro, benché esse non chiedessero nulla al di fuori dell’ortodossia: le richieste di queste donne riguardavano infatti lo spirito sacerdotale, non il ruolo di sacerdote.
Alla lezione è seguito un animato dibattito.
Padova, 13 novembre 2021
Marco Bolzonella – Presidente
Silvia Carraro – Segretaria
La riunione ha come oggetto la presentazione del volume di Roberto Cipriani L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia, Franco Angeli, Milano, 2020.
Dopo i saluti introduttivi di Marco Bolzonella, presidente della Societas, prende la parola Gianpaolo Romanato per presentare i due relatori dell’incontro: Roberto Cipriani, autore del volume, ed Enzo Pace che ne ha scritto la lunga prefazione. Di entrambi Romanato sottolinea la riconosciuta serietà scientifica, verificabile anche nella ricerca in oggetto, condotta su un argomento (lo stato della chiesa in Italia), che necessitava di una analisi aggiornata.
Enzo Pace ricorda come la precedente importante ricerca su La religiosità in Italia, di Vincenzo Cesareo, Roberto Cipriani, Franco Garelli, Clemente Lanzetti e Gianfranco Rovati (Mondadori, Milano, 1995), avesse evidenziato un cristianesimo ancora abbastanza saldo, mentre ora si registra una realtà notevolmente diversa. Aggiunge come la difficoltà di interpretarlo stia nell’andare al di là delle cifre per vedere il cambiamento dal punto di vista delle persone. Sottolinea come Cipriani sappia raccontare il cambiamento decodificando il linguaggio, cercando di capire nel flusso delle parole quel che apre al trascendente. Il valore di questo testo sta dunque nel fatto che per la prima volta, assieme al dato quantitativo, si analizzano anche dati qualitativi. Quel che risulta evidente è una frammentazione del linguaggio, la mancanza di parole per definirsi credenti: si sa che c’è la chiesa, c’è una dottrina sociale, ci sono principi morali, ma ognuno ha i propri modelli personali. Il risultato evidente è un grande cambiamento della geografia religiosa in Italia, riflesso di una società molto diversificata anche dal punto di vista religioso.
Roberto Cipriani apre il suo intervento sottolineando le difficoltà oggettive che si incontrano in Italia nel condurre ricerche sul fenomeno religioso. Spiega poi, come una ricerca di questo tipo sia molto complessa in tutte le sue fasi ed enuncia gli indicatori su cui si è scelto di condurre l’analisi: vita quotidiana e festiva, felicità e dolore, vita e morte, rappresentazione di Dio, preghiera, istituzione religiosa, papa Francesco. Dopo aver brevemente analizzato i risultati emersi per ciascuno di questi, espone alcune possibili conclusioni per il futuro:
allargamento dell’area dell’“incerta fede” (su tale tendenza, già presente, forse la pandemia ha influito);
aumento della differenza tra credenti e praticanti;
una spiritualità orientata a un allargamento dell’orizzonte personale;
i valori conserveranno una loro centralità: ne è prova la comune condivisione della golden rule “non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te”;
la “riforma” di papa Francesco dovrebbe avere una sostanziale condivisione da parte degli italiani.
Segue un vivace dibattito che si concentra soprattutto sulla constatazione di un generalizzato calo di religiosità nelle generazioni più giovani, cui i relatori replicano con ulteriori osservazioni, concluse da Enzo Pace con l’evidente necessità per la chiesa di cambiare modello organizzativo e comunicativo.
Padova, 3 dicembre 2021
Silvia Carraro –Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
La riunione, che si svolge utilizzando la piattaforma telematica Zoom, si è aperta con una rapida rassegna bibliografica.
Successivamente si è passati alla presentazione del volume della nostra socia prof.ssa Maria Teresa Dolso, Gli ordini mendicanti. Il secolo delle origini, Roma, Carocci editore, 2021 attraverso un dialogo tra l’autrice e il nostro socio prof. Donato Gallo. Ripercorrendo la struttura del libro, attenta a mantenere sia il senso diacronico sia sincronico delle questioni e dei problemi affrontati, la prima domanda ha riguardato il rapporto che gli ordini ebbero con il rispettivo fondatore, sia che esso sia stato ricostruito, come per Domenico, sia che esso sia stato “mitico” come negli ordini che si sono costituiti in seguito ai due principali (Minori e Predicatori). In effetti, riprende l’autrice, il fatto di appartenere agli ordini Mendicanti è un’operazione che cala dall’alto; di per sé essi non hanno molto in comune e i due stessi fondatori, Francesco e Domenico ebbero presa diversa nei loro ordini. Per Agostiniani e Carmelitani invece, non esiste invece un’unica figura di riferimento.
Una seconda questione ha riguardato il bipolarismo eremo-città comune a tutti gli ordini, ma che fu una scelta urbana e pastorale imposta dal papato, determinante nella trasformazione degli stessi ordini portandoli a puntare, anche nel caso di quelli che avevano una vocazione più eremitica come i Carmelitani, su cultura e formazione. Nota M.T. Dolso che, pur essendo le esperienze dei Minori e Carmelitani distanti geograficamente, esse si dipanano su percorsi simili per quanto riguarda le strategie di approvazione delle regole, la cronologia, i privilegi concessi ai due ordini, ma anche per la componente eremitica che, presente in entrambi, rapidamente diminuisce sotto la spinta pastorale del papato che li costringe a trasferirsi in città. Per quanto riguarda la scelta culturale, essa dipese dal volere dei pontefici di avere tra i predicatori dei professionisti della parola.
Un’ulteriore domanda ha riguardato l’interpretazione del secondo concilio di Lione del 1274; se cioè è ancora possibile ritenerlo una svolta per i numerosi ordini più piccoli, alcuni dei quali sopravvissuti anche se con difficoltà, altri soppressi come per i Saccati. Il concilio, secondo l’autrice, rappresentò un momento di cesura in cui i due ordini Mendicanti maggiori uscirono rafforzati. Furono gli unici riconosciuti dal concilio per la loro utilità; dal punto di vista identitario esso fu cruciale. Nel Lionese si definiscono quali sono gli ordini mendicanti e cosa sono gli ordini Mendicanti; che il concilio sia stata una tappa fondamentale lo capisce anche dal fatto che per l’occasione scesero in campo le figure più importanti degli ordini, segnale della consapevolezza della centralità del momento.
Continua Donato Gallo rilevando che un filo conduttore del volume è la pastorale che si esplicita con la preparazione culturale e nel rapporto con gli strumenti del sapere; non a caso nell’ultimo capitolo del testo c’è la lettura di una particolare fonte iconografica che vede rappresentati i santi degli ordini con un libro. Questa scelta di impegno culturale fu fonte di discordia soprattutto tra i frati Minori, in particolare a partire da quelle correnti connesse alla povertà. Come fanno a coesistere l’impegno pastorale, la formazione culturale e la povertà? Secondo M.T. Dolso, questo è un falso problema; va infatti ricordato che, coevo di Francesco, era Antonio di Padova che era un canonico dotto e che divenne un influente predicatore e al quale Francesco stesso chiese di insegnare teologia ai frati. Antonio venne in contatto con ambienti colti, forse anche con predicatori e non fu una meteora poiché all’interno dell’ordine entrarono numerosi altri predicatori. Questa attitudine allo studio non fu un processo di omologazione dei Minori ai Predicatori, fu invece in processo endogeno. Nella pratica dei fatti la povertà non fu vista come un’opposizione alla cultura, anzi gli stessi predicatori accennano al fatto che per predicare non è sufficiente essere preparati ma è necessario anche l’esempio. Si potrebbe dire che lo studio è funzionale alla predicazione così come una vita sobria e povera è funzionale all’efficacia della predicazione. In questo senso, Antonio appare come una figura chiave nell’ordine perché rappresenta un minoritismo internazionale delle provincie diverso da quello assisano e umbro di Francesco, ma che Francesco accetta.
Un’ultima questione riguarda la questione iconografica: nella lettura proposta viene presentato un collegamento tra gli ordini mendicanti e la situazione precedente: i Mendicanti si propongono come sostituti della vita regolare precedente. La rappresentazione dei santi con il libro è frequente, ma non nel caso di questo ordine. Esso rimanda a un percorso di storia della salvezza che ha come cuore pulsante il Libro, ovvero la Bibbia, che rappresenta anche la Sapienza che percorre la Chiesa, dove gli ordini mendicanti rappresentano come gli ultimi operai mandati provvidenzialmente.
Padova, 20 gennaio 2022
Silvia Carraro –Segretaria
Marco Bolzonella – Presidente
La Societas Veneta per la storia religiosa si propone di diffondere passione e interesse per gli studi inerenti la storia ecclesiastica, alla quale si richiamava la denominazione iniziale dell’Associazione. Inoltre vuole sensibilizzare ad uno studio della storia intesa come rigore critico, ricerca delle fonti e dei documenti, scrupolo interpretativo fondato su un corretto metodo filologico e non sul dilettantismo.
Associazione che si interessa di storia religiosa e che vuole sensibilizzare ad uno studio della storia più in generale da approcciare con rigore critico basato sulla ricerca delle fonti e dei documenti.
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